Commenti. Un miliardo e più di non credenti? La menzogna e la vera questione

IMG_0025DEF bdi Paolo Facciotto.

Qualche giorno fa, domenica 26 settembre, siamo stati informati dalle pagine culturali de “Il Sole 24 Ore” che al mondo vivrebbero “Un miliardo (e più) di non credenti”, questo il titolo dell’articolo firmato da Gilberto Corbellini, recensione al primo volume di “Atheism and Secularity” di Phil Zuckerman. Nel grafico a corredo della pagina, la suddivisione della popolazione mondiale in base al credo religioso, e la scritta: “Atei-agnostici-non religiosi-secolari 1,1 miliardi”, con la precisazione “solo atei e agnostici 700 milioni”, “fonte Phil Zuckerman, 2007”. Come si arriva a stimare questo numerone di 1,1 miliardi? Lo spiega Corbellini così: “I non credenti, cioè le persone che non credono in un dio personale né in entità ultraterrene, sono tra i 500 e i 750 milioni, e se a questi si aggiungono le persone che sono religiose ma non si sentono parte «di nessuna chiesa», o persone che semplicemente si dichiarano non religiose ma «credono in qualcosa», il numero potrebbe quasi raddoppiare. Un bel risultato considerando che nel 1900 gli atei erano stimati allo 0,2% della popolazione mondiale”. “Potrebbe”, “quasi”, “se…”: complimenti per la scientificità. La cifra sarà anche “un bel risultato” ma semplicemente è falsa, o meglio è un’opinione non provata, una mozione d’intenti.

Domanda: che senso ha “aggiungere” ad atei e agnostici quelli che “credono in qualcosa”, per poi mettere tutti quanti in un unico sacco, quello dei “non credenti”?

E che significa che atei e agnostici “sono tra i 500 e i 750 milioni”? Una forbice mica da ridere: la stessa applicata costantemente da Zuckerman nei suoi libri. Nei dati pubblicati nel 2005, ad esempio, lo scienziato diceva che in Svezia, il paese con la più alta concentrazione di atei-agnostici-non credenti al mondo, la loro percentuale si situa “tra il 46 e l’85%” della popolazione nazionale. Cioè, pressappoco, tra l’unità e il suo doppio: tra 4 milioni 133 mila e 7 milioni 638 mila svedesi. Idem per la Cina: “tra l’8 e il 14%” della popolazione, cioè tra 104 e 182 milioni di individui. Tutto ciò sulla base di diversi studi sociologici, sondaggi eccetera – di altri studiosi, non di Zuckerman – i quali davano risultati non concordanti. Di questo passo, di spanna in spanna, si fa presto a raggiungere le somme di cui sopra.

Diciamocela tutta: trattasi di menzogne nascoste dietro le vesti di verità ipotetiche.

Se i demografi, i politologi e i loro giornalisti fossero più intelligenti, più dinamici e attenti a come cambia il mondo, le loro discussioni sarebbero di ben altra qualità.

Sulla secolarizzazione, ad esempio, va loro consigliata la lettura di un testo di Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all’Università di Milano-Bicocca, pubblicato in «Vivere è la memoria di Me», supplemento a Tracce-Litterae Communionis, n. 8 – settembre 2010, pagine 11-21. La costituzionalista spiega come si possa vedere e toccare con mano oggi, ad esempio nella scintillante New York, la riuscita di chi voleva costruire un mondo “dopo Gesù, senza Gesù”, come diceva profeticamente il poeta Péguy. Nel paese dove i presidenti giurano su Dio nel cominciare il loro mandato, dove Dio ha un posto sicuro persino nella moneta corrente (“In God we trust”), dove ciascuno è libero di esprimere pubblicamente la propria fede, “nessuno – scrive la Cartabia – osa vivere appieno la propria dimensione religiosa come forma della vita intera”, a causa di “un conformismo” “per cui la vita è governata dalla mentalità del potere dominante”. Questo sì, sarebbe da considerare “un bel risultato”, se i fautori di ateismo e agnosticismo ne comprendessero la portata.

Ma c’è un terzo punto della questione. Detto che gli irreligiosi sostanziali sono forse ben più di 1,1 miliardi al mondo – e ogni istante c’è la possibilità che il mondo intero lo sia, dal primo all’ultimo vivente, perché il rapporto dell’uomo con il Mistero si gioca istante per istante, a prescindere da ciò che scriviamo nelle nostre carte d’identità -, resta una domanda che sbaraglia le carte.

Come mai, pur vivendo nel posto della migliore riuscita umana, la organizzata ed efficiente Grande Mela, la gente si sente infelice? Dice: “Qui mi sento solo e miserabile”; e commenta la Cartabia: “nemmeno New York basta al cuore dell’uomo”. Ma è solo una delle tante documentazioni possibili. Come mai fin dall’alba dei millenni l’uomo ha avvertito un desiderio di pienezza, verità e bene, che nessuna delle sue costruzioni poteva soddisfare? Come mai emerge in noi – persino dal di dentro di un cuore corrotto – il bisogno inestirpabile del rapporto con l’infinito? Diventerebbero più interessanti i discorsi e i libri di demografi, politologi, sociologi, se facessero i conti con questi interrogativi. Lo farebbero, se fossero intelligenti.

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