La sfida di Benedetto XVI, il testo dell’incontro con Magister e Bellandi

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Venerdì 7 maggio al Teatro Tarkovskij nell’incontro con Sandro Magister dal titolo “Ragione e fede, la sfida di Benedetto XVI” sono stati sfatati molti luoghi comuni che sin dall’inizio del pontificato inseguono Benedetto XVI; nello stesso tempo però si sono approfonditi i contenuti di questo pontificato fino ad arrivare al cuore di ciò che sostiene questo pontefice in questo periodo difficile per la Chiesa, al cuore di ciò che gli permette di stare e piangere insieme alle vittime degli abusi come è successo recentemente a Malta.

Per capire la statura umana di Ratzinger basta un aneddoto: lui era uno dei pochi che, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, tutti i vescovi in visita da papa Woytyla incontravano, sempre, perché con lui c’era la possibilità di un vero incontro; un aneddoto, raccontato da Sandro Magister, vaticanista e curatore di uno dei blog sul Vaticano più seguiti, protagonista insieme a don Andrea Bellandi, già preside della facoltà teologica dell’Italia centrale, di questo incontro.

Sandro Magister ha delineato i tratti salienti di questi cinque anni di pontificato attraverso un paradosso molto chiaro: «il paradosso di un papa che molto spesso viene incolpato di qualcosa proprio dove è più innocente». Due sono le accuse che Magister ha rilevato essere più frequenti: «All’inizio, poco dopo la sua elezione, un intellettuale, Achille Ardigò, definì questo papa in termini critici come un razionalista, come se esagerasse a dare troppe ‘ragioni alla ragione’ fino a parlare un po’ di meno di Dio e di Cristo. Un’accusa sconcertante visto che il papa annuncia Cristo a tutto il mondo. La seconda accusa che arriva invece dalla parte laica è quella di liquidarlo come un papa retrogrado e oscurantista».

Ciò che toglie ogni fondamento alla seconda critica, Benedetto XVI l’ha detto addirittura prima di diventare papa. «E’ la notte del 1 aprile 2005 – ha raccontato Magister – e l’allora cardinale Ratzinger sale le montagne verso il monastero di Subiaco per la consegna di un premio; è lì che il futuro pontefice pronuncia uno dei suoi discorsi fondamentali, un discorso in cui individua la causa della crisi dell’Europa ne suo tentativo di “escludere Dio dalla coscienza pubblica, sia che venga negato del tutto, sia che la sua esistenza venga giudicata non dimostrabile, incerta, e dunque appartenente all’ambito delle scelte soggettive, un qualcosa comunque irrilevante per la vita pubblica”, individuando come il vero scontro non sia quello tra le religioni, ma “quella tra la radicale emancipazione dell’uomo da Dio, dalle radici della vita, da una parte, e le grandi culture religiose dall’altra” e come la fede cristiana non sia nemica della ragione, ma anzi come la fede cristiana sia una fede sin dalla sua origine illuministica, basata sin dall’inizio sul logos».

La ragionevolezza della fede, infatti, ha fatto notare Magister è anche il punto del discorso di Ratisbona, da tanti visto come un incidente, ma che invece «ha riavviato un dialogo vero con il mondo mussulmano, tant’è che, quando Benedetto XVI ha visitato la Turchia, è stato accolto da una simpatia notevolmente espressa».

Per capire invece l’origine della prima critica, Magister ha usato come esempio il libretto uscito l’anno scorso “Il Vangelo basta, Sulla fede e sullo stato della Chiesa italiana”. Un libro in cui si chiede alla Chiesa di annunciare solo il Vangelo, senza andare sulle conseguenze che la fede porta sulla vita, fermandosi quindi su un piano spirituale: «Benedetto XVI ha molto presente questo rischio, basta guardare l’udienza del mercoledì che ha fatto poco tempo fa su Bonaventura, santo che il papa conosce bene. Dopo san Francesco, ha raccontato il pontefice, ebbe grande forza un corrente di pensiero che chiedeva una chiesa nuova per l’età dello spirito, senza dogmi, senza regole, una chiesa dello spirito. Questa visione è ancora viva ai giorni nostri con notevoli conseguenze. Il papa è molto consapevole di questa tendenza che sogna questa età dello spirito, ma che, come lui stesso ha affermato, è qualcosa che si rovescia in una sostanziale anarchia. La Chiesa invece secondo Benedetto XVI si deve difendere non contrapponendo l’istituzione, ma dominando la chiesa con un pensiero ispirato dalla preghiera. La preghiera, capito, non meravigliamoci quindi se Benedetto XVI si dedica alla liturgia, se i suoi discorsi più densi sono le omelie, dove il pensiero è innervato dalla preghiera. Questo è un papa che ha messo in stato penitenziale l’intera chiesa irlandese. E poi si vuole dare a questo papa del razionalista».

«Entrambe le posizioni – ha affermato don Antonio Bellandi prendendo spunto da quanto detto da Sandro Magister – sono frutto di una visione debole dell’esperienza della fede. I primi giorni del pontificato, alla messa di elezione Benedetto XVI ha detto riprendendo il ‘non abbiate paura’ di Giovanni Paolo II “Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura – se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera”».

Così don Andrea Bellandi ha iniziato il suo intervento per approfondire le ragioni della sfida che Benedetto xvi lancia con l’annuncio quotidiano della fede cristiana al mondo: «non si può comprendere il papa se non si parte dal fatto che è innamorato di Cristo, l’amicizia in cui la ragione rispetta la sua natura, in cui non si ha paura della realtà, non si ha paura di affrontare le ideologie, le potenze finanziarie e culturali di questo mondo anche non risparmiando giudizi severi».

E rispetto alle sfide all’uomo di oggi, Bellandi le ha tracciate riprendendo tre necessità enunciate da Benedetto XVI ai rettori delle università europee.

«La prima necessità che il papa proclama è uno studio esauriente della crisi della modernità che ha più a che fare con i problemi di umanesimo; il problema non è mettere al centro l’uomo, ma quale che cosa rende l’uomo veramente uomo, il primo giudizio è questo con anche il coraggio di criticare questa illusoria centralità dell’uomo, perché la vera grandezza è il suo essere fatto per la verità. La secondo necessità è l’ampliamento delle nostra idea di razionalità, il concetto di ragione che deve essere ampliato secondo la sua vera natura per comprendere quegli aspetti della realtà che vanno oltre i concetti puramente empirici. E la terza questione riprendendo le stesse parole del papa “riguarda la natura del contributo che il cristianesimo può rendere all’umanesimo del futuro. La questione dell’uomo, e quindi della modernità sfida la Chiesa a escogitare modi efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del “realismo” della propria fede nell’opera salvifica di Cristo. Il cristianesimo non va relegato al mondo del mito o dell’emozione, ma deve essere rispettato per il suo anelito a fare luce sulla verità sull’uomo, a essere in grado di trasformare spiritualmente gli uomini e le donne, e quindi a permettere loro di realizzare la propria vocazione nel corso della Storia. Durante la mia recente visita in Brasile, ho espresso la mia convinzione che “se non conosciamo Dio in Cristo e con Cristo, tutta la realtà si trasforma in un enigma indecifrabile” (Discorso ai Vescovi del Celam, n. 3). La conoscenza non si può mai limitare alla mera sfera intellettuale. Essa include anche una rinnovata abilità di guardare alle cose liberi da pregiudizi e preconcetti e di lasciarci “entusiasmare” dalla realtà, la cui verità si può scoprire unendo l’amore alla comprensione”».

Ha concluso Bellandi: «La fede è il cuore dell’esperienza di Ratzinger, la fede come giudizio capace di andare fino in fondo alle cose. Ma Ratzinger non si ferma qui, va avanti fino a dire come questo può diventare comunicabile per tutti. In un incontro con i preti di Bressanone ha parlato dell’arte e dei santi come la “più grande apologia della nostra fede. Gli argomenti portati dalla ragione sono assolutamente importanti ed irrinunciabili, ma poi da qualche parte rimane sempre il dissenso. Invece, se guardiamo i Santi, questa grande scia luminosa con la quale Iddio ha attraversato la storia, vediamo che lì veramente c’è una forza del bene che resiste ai millenni, lì c’è veramente la luce dalla luce. E nello stesso modo, se contempliamo le bellezze create dalla fede, ecco, sono semplicemente, direi, la prova vivente della fede”».

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