Il compito di un centro culturale nell’era della Post Verità

Qual è il compito di un centro culturale nell’era della Post Verità? Perché proporre attività di giudizio sulla città e sul mondo, in un tempo in cui tutto (anche il proprio giudicare) sembra perdersi nella universale destrutturazione di ogni realtà, parola, pensiero?

Queste, le domande che hanno attraversato in maniera esplicita le ultime iniziative di alcuni amici del centro culturale Il Portico del Vasaio, arrivando a determinare uno stile fecondo di nuovi rapporti e capace di aprire nuove opportunità.

Dopo le iniziative di primavera scorsa (aperitivo con mostra dei quadri di Congdon, riscoprendolo nell’albergo dove risiedeva per le sue visite al Meeting di Rimini), proprie di un centro culturale “liquido”, ovvero flessibile, veloce, capace di mettere in gioco risorse interne, e dopo gli incontri incentrati sulla testimonianza (Wael Farouq, padre Ibrahim), quale vera fonte di conoscenza in un mondo stanco di analisi e teorie, il lavoro del Portico del Vasaio durante l’estate si è concentrato sul tentativo di guardare l’oggi, l’Italia ed alla sua necessità di ripartire.

L’occasione ovviamente è stata quella del referendum costituzionale.

Detto in sintesi, si è messa in atto una forma di lavoro nuova, già sperimentata durante l’anno nella collaborazione con le associazioni che si riconoscono nel Progetto culturale della diocesi. Si è tentato, cioè, di mettere in atto una risposta alle domande iniziali secondo l’ipotesi lanciata magistralmente dalla prof.ssa Kasatkina al Meeting di Rimini, sia in occasione dell’incontro pubblico – laddove in un passaggio commentava il valore dell’ “altro”, ovvero il tema del Meeting (Tu sei un bene per me) – sia  in occasione di momento di lavoro vissuto proprio con i responsabili dei centri culturali. La docente russa indicava quale compito precipuo del centro culturale oggi, la costruzione di un luogo dove le diverse culture, che oramai abitano i nostri territori, possano incontrarsi, possano riconoscere il bene presente nell’essere altro. Posizione tratteggiata poi da don Julian Carron, in occasione della inaugurazione della nuova sede del centro di Milano.

Il lavoro sui referendum è stata occasione esplicita per sperimentare questa posizione, che recupera l’origine del centro culturale, inteso secondo l’affascinante sguardo di don Giussani alla cultura: “vagliate tutto e trattenete il bene”, compendiata con l’altra affermazione secondo cui l’ io è un “Tu che mi fai”. Un Tu che riverbera la sua drammatica e affascinante realtà, nei tanti tu di cui è costituita la realtà.

Ne è nato un lavoro di una trentina di amici, del centro culturale e non, che si sono ritrovati nelle sere estive per capire la posta in gioco, al di là di posizioni preconcette (hanno partecipato persone orientate per il sì, il no e incerte). È emerso con evidenza come il valore del lavoro di ricerca e chiarimento fatto insieme fosse, ancor prima di risposte e soluzioni che potevano prefigurarsi (ma che in realtà risultavano sempre troppo deboli, sia in un fronte come nell’altro), proprio in quel parlarsi e in quel ragionare insieme. Ovvero nel costruire un luogo dove potersi riconoscere quali uomini alla ricerca del vero, desiderosi di costruire, senza fermarsi né semplicemente “reagire”, alla politica attuale. L’incontro con i senatori Violante e Mauro è stato il segno poi pubblicamente visibile di un lavoro a cui si desidera dare un seguito nei prossimi mesi.

Ma questa intraprendente e spregiudicata ricerca dell’altro, certi di riconquistare in forma rinnovata il proprio io, è passata in questo intero anno anche attraverso la partecipazione al lavoro del Progetto culturale, organismo che la diocesi ha attivato per mettere in sinergia le diverse esperienze ecclesiali del riminese. Lavoro collaborativo e proficuo, fecondo di numerose iniziative (tra le quali ricordiamo quelle a cui Il Portico ha dato uno specifico contributo, come lo scorso anno l’incontro con Tornielli “Da un economia che uccide a un economia per la vita” e quest’anno l’incontro sulla cittadinanza e le nuove forme di partecipazione) ma soprattutto di una cordialità e collaborazione che promette sviluppi assai interessanti.

Un lavoro che appare  come la traduzione del titolo del Meeting 2016 in un’azione quotidiana, capace di far crescere il gusto del vivere la propria città, dentro forme nuove di convivenza, di incontro e di giudizio, di cui il centro culturale vuol essere una prima piccola ma decisa espressione.

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